Officina delle immagini recensione

 

LOOK AROUND. STRIKE A POSE

“Fotografia Sperimentale”

di Maria Francesca Zeuli

Arianna Miconi/Ariari - Valentina Cinelli/Bastet - Giuseppe Cafagna/Ilee 

 Daniele Forconi/Thevoyager - Mauro Santucci/Mà

           recensioni

Il negativo di una pellicola fotografica fa da sfondo ai nomi dei cinque fotografi che qui espongono e alle brevi presentazioni del loro modo di operare, un segnale anche questo: in un tempo in cui domina, e quasi imperversa, l’immagine virtuale o quella digitale essi dichiarano la loro volontà di lavorare attraverso la fisicità di una macchina fotografica, a volte la più semplice di tutte, quasi una mera camera oscura, e la “chimica” modificazione di una membrana sensibile all’urto o alla carezza della luce, calibrata da mani consapevoli.

La definizione di “Fotografia Sperimentale” lascia aperte numerose possibilità di interpretazione, ma unisce le cinque diverse personalità in un unico intento di fondo: dischiudere molteplici finestre sull’espressione più personale di sé o sulla visione più intima del mondo che ci circonda, fatto di panoramiche straniate, dettagli ravvicinati a volte evanescenti e quasi di matrice simbolista, sovrapposizioni e sequenze, icone talora stereotipate del mondo pubblicitario, sfocature volute e un uso virato del colore (essenzialmente basato sui colori primari più il complementare verde), come primo contrassegno espressionista di una realtà guardata e letta in modo del tutto soggettivo; ma la sperimentazione è anche sulle possibilità dello strumento analogico di cui si servono i fotografi o sul suo uso programmaticamente giocato fra consapevolezza e casualità, o meglio, sulla consapevolezza della presenza nelle foto della casualità, dovuta ad una miriade di aspetti e di fattori incontrollabili al momento dello scatto, e dei suoi interessanti e stimolanti apporti all’immagine finale.

Il fotografo è sempre in qualche modo soggetto della propria fotografia insieme all’oggetto/soggetto che ritrae e blocca in una dimensione sospesa fra memoria e possibilità, ma qui questa presenza viene rivendicata fortemente, quasi a voler fare immediatamente relativizzare e superare al pubblico la prima comunicazione di superficie per spingerlo alla ricerca di una conoscenza non tanto di stralci di mondo, quanto di frammenti di persone.

Un “gioco” collettivo quello di questi giovani sensibili fotografi, nato dall’attitudine a cogliere l’essenza, la poesia o il tratto emotivo delle cose e dal desiderio di coltivare la passione per un linguaggio della comunicazione visiva, di cui sono esperti per formazione e per professione.

La sequenza con cui si presentano al pubblico è in ordine alfabetico, per cognomi ci aspetteremmo…e invece è per soprannomi! Parte di questo gioco è, infatti, l’uso di nomi e soprannomi che proietta nel presente tecnologico i componenti del gruppo e suggerisce l’origine telematica della loro amicizia. I “nickname” rivelano e sottolineano aspetti nascosti delle personalità, sottesi ai nomi, ma preponderanti fino a divenire imprescindibili nel comporre un’individualità che dà carattere alle immagini che propone.

Arianna Miconi/Ariari: nitide realtà scorciate di palazzi o parchi cittadini descrivono contesti colorati e dinamici, mentre l’isolamento di dettagli dà voce ad una tenera familiarità o ad una sensazione di simboliche allusioni, accentuate da un controluce che ritaglia le forme, da accesi cromatismi inquieti e da corone di luce baluginante che conducono l’osservatore a focalizzare la lettura dell’immagine su alcuni elementi.

Valentina Cinelli/Bastet: inusuale contrasto di astrazione e narrazione, la fotografa sperimenta entrambi i canali di comunicazione nel costante uso di un cromatismo straniante che trasforma dettagli e inquadrature. Ogni cosa è sospesa in una temporalità che si fa, allo stesso tempo, sequenza lineare e spessore di stratificazione esperienziale. L’artista si mescola con i suoi soggetti, comparendo spesso immersa nella prediletta Roma, tra i particolari che la fanno eterna e attuale, a volte dispersi e nascosti in un’abbagliante luce cromaticamente alterata che impressiona in modo disomogeneo la pellicola e suggerisce una malinconica idea di cancellazione.

Giuseppe Cafagna/Ilee: la tattilità del suo occhio fruga, percepisce, aliena oggetti e persone che scava con luci fredde o sgrana con toni caldi e che fa emergere da oscurità profonde, a volte in forma di guizzi di luce in movimento, a volte nella sospensione gelida di soggetti senza tempo, sempre, comunque, portando le forme ad una sorta di scarnificazione che le astrae; attraverso il suo obiettivo tutto si perde e tutto si ritrova trasfigurato.

Mauro Santucci/Mà: la fotografia trabocca dai limiti del suo rettangolo standard e impressiona anche i bordi dentellati della pellicola su cui scorrono in una sequenza quasi filmica i gesti di un bambino, i dettagli del volto di una donna, i trasparenti particolari di ambienti esterni. Le immagini si rincorrono e si sovrappongono con l’andamento confuso e vario del ricordo, un altalenante zoom che passa dal primissimo piano allo sfondo, mescolando i piani intermedi e a volte ritmando segmenti con il colore.

 Daniele Forconi/Thevoyager: formati fotografici diversi, essenziali bicromatismi che vedono apparire dal buio immagini innaturalmente virate al verde o al rosso, luoghi o situazioni, umane o naturali. La stratificazione degli scatti restituisce racconti o atmosfere, i bordi si sfocano e la luce dilaga in pozzanghere o si sfuma in aloni luminosi che corrodono i profili, pur sempre riconoscibili.