racconti |
Il
colore è un mezzo per esercitare
sull’anima
un’influenza diretta.
Il
colore è il tasto, l’occhio il martelletto che lo colpisce,
l’anima
lo strumento dalle mille corde.
Vasilij
Kandinskij
Non si poteva certo dire che avesse una
sua personalità, anzi, a pensarci bene, non ne aveva proprio nessuna. Angelo
era una persona così ordinaria da essere privo di qualsiasi caratteristica
particolare. Era impressionante quanto il suo comportamento poteva risultare
equilibrato, ineccepibile, esemplare e nello stesso tempo terribilmente
insignificante. Tutto quello che faceva, che pensava o che diceva non aveva
alcun peso nella realtà, non lasciava traccia, si disperdeva subito nel nulla.
Angelo sapeva di esistere, aveva cercato di dare anche un senso alla propria
vita, ma si accorgeva che per gli altri era come se non ci fosse, passava del
tutto inosservato, privo di qualsiasi identità.
Sforzandosi di seguire i percorsi di un
ragionamento lineare concluse che l'unico modo per farsi notare era quello di
essere esattamente come gli altri, attraverso la messa a punto di un'adeguata
imitazione. Se lui non aveva una propria personalità l'avrebbe copiata da altri
a seconda delle circostanze in cui si sarebbe trovato. Una personalità per
tutte le occasioni, conveniente e misurata come la sua normalità gli suggeriva.
Così Angelo, con puntualità camaleontica, cominciò a inserirsi in società
adattandosi al contesto, assumendo atteggiamenti consoni, acconsentendo alle
opinioni più comuni, riflettendo modi, espressioni e vezzi come in uno
specchio, finché gli altri cominciarono ad accorgersi di lui solo per la
sensazione di avere accanto un duplicato di se stessi.
I risultati furono tra i più variegati:
c'era chi si compiaceva di guardarsi riflesso come un Narciso, chi si divertiva
più astutamente a fare la parodia della sua imitazione, chi invece si irritava
con sdegno credendosi beffato. Angelo, tuttavia, era un uomo semplice ma non
stupido, e in breve tempo si accorse che attraverso l’imitazione finiva con
l’acquistare un’immagine equivoca, a volte derisa, se non addirittura
fraintesa. Per giunta nemmeno a lui piaceva essere uguale agli altri:
apparentemente poteva sembrare facile, ma alla fine era faticoso, i modelli
erano tanti e gli stili diversi. Imitare significava essere tante cose insieme,
mai una cosa sola. Significava molteplicità, versatilità e trasformismo che
mal si conciliavano con l'elementare semplicità di Angelo.
Però, se ci pensava bene, non ci voleva
molto a capire che per acquistare un po’ di personalità era meglio
distinguersi piuttosto che uniformarsi. In fondo faceva più identità
un’opposizione vigorosa piuttosto che una sottomessa imitazione. Polemica,
contrasto, dialettica, ecco quello che ci voleva per emergere, interagire,
distinguersi. Lo stesso Angelo, nella piattezza della sua normalità, rimase
sorpreso della sua singolare intuizione. Così si mise subito all'opera e con lo
stesso ingenuo candore con cui aveva assecondato le diverse situazioni, si mise
a cercar grane, seminare zizzania, fomentare attriti e scatenare ire ovunque si
trovasse. Ma non possedendo una propria autonomia di pensiero finì col dire
sempre l'opposto di ogni cosa, col prendere di petto i suoi interlocutori o con
l'assumere posizioni contrarie per partito preso, senza mai riuscire a ragionare
per conto proprio.
Anche in questo caso i risultati furono
alquanto articolati, ma quasi tutti disastrosi. I più civili rimanevano
interdetti, ma cercavano di mantenere un controllo d'etichetta. I più ironici
trovavano sempre lo spunto per alimentare l'alterco fino a renderlo ridicolo.
Poi però c'erano i più permalosi che, non avendo ritegno né capacità di
stare al gioco, finivano con lo scatenare un vero putiferio. Angelo, nella sua
mediocrità, faceva quasi sempre le spese per tutti, finché non comprese di
aver scelto una strategia non troppo adeguata. Se l'imitazione speculare non
portava a grossi risultati, l'opposizione immotivata poteva rivelarsi deleteria.
Ma fuori dallo schema binario dei
contrari egli non riusciva proprio a ragionare. Sperimentata una soluzione e il
contrario di quella non intuiva altre possibilità. Non c'era niente da fare,
non si poteva spremere sangue da una rapa. L'incapacità di esprimersi di Angelo
era assiomatica, connaturata e lasciava pochi spazi ad altri tentativi. Non
rimaneva che sprofondare di nuovo nell’inutile quotidianità di un'esistenza
del tutto irrilevante. Ma questo gli sarebbe costato ben poco se non ne avesse
avuto coscienza. Invece in fondo al suo animo si agitava un insidioso moto di
disappunto, nelle sue vene scorrevano curiosi fremiti di insofferenza, tutto il
suo corpo sembrava volersi scuotere da quello stato di torpore mentale, andando
alla ricerca di inaspettate evasioni, insoliti slanci e originali soluzioni.
Tuttavia Angelo non aveva mai posseduto
particolari interessi, né tanto meno sviluppato qualche specifica dote. Faceva
un mestiere come tanti, viveva in una casa come tante, conduceva una vita
tristemente vuota, priva di stimoli e risorse. Però da sempre aveva nutrito una
bizzarra curiosità: gli piaceva osservare con attenzione i negativi delle
fotografie. Fin da piccolo si divertiva a guardare in controluce le lunghe
strisce di pellicola nera che trovava nella camera oscura del nonno, per poi
confrontarle con le immagini a colori appese al filo ad asciugare. Agli inizi
era attratto semplicemente da quelle enormi macchie bianche che nelle foto
assumevano la forma di corpi scuri, oppure da strani contorni tenebrosi che una
volta stampati sprigionavano una forte luminosità. Col passare del tempo, però,
a forza di continui riscontri tra il bianco e il nero o il chiaro e lo scuro,
Angelo cominciò ad apprezzare le diverse sfumature di grigio che rimanevano
impresse sui negativi. Continuando a tenere gli occhi incollati sulle pellicole
sviluppate, finì con l'indovinare tutta la gamma di colori che sarebbero emersi
dalla stampa soltanto sulla scorta di impercettibili variazioni acromatiche.
Ma il giorno che il nonno morì Angelo si
ritrovò improvvisamente privo delle preziose immagini che emergevano quasi per
magia dalle bacinelle piene di acidi della camera oscura. Suo nonno aveva avuto
da sempre due grandi passioni: l'architettura monumentale delle grandi città e
la natura selvaggia delle isole esotiche. Le immagini che Angelo aveva visto per
anni al negativo erano riproduzioni di palazzi munifici, preziose vestigia,
cupole somme e torri imponenti, in mezzo alle quali esplodevano vertiginose
scogliere, foreste contorte, spiagge accecanti bagnate da spume oceaniche. I
colori sui quali aveva esercitato la sua "lettura al negativo" erano
dunque il grigio pallido del travertino, il giallo spento dei ruderi, il rosso
cupo dei campanili, oppure il bianco adamantino della sabbia, il marrone
sbiadito delle rocce, il blu notte del mare: tutti colori algidi, tenui, opachi,
oppure molto carichi e intensi.
Dal nonno, naturalmente, Angelo non aveva
ereditato la minima vocazione per la fotografia e ancor meno era riuscito ad
acquisire la tecnica: sapeva interpretare un negativo, ma non riprodurre
un'immagine. Mediocre nell'animo, ottuso nell'ingegno, ora si sentiva anche
orfano di quelle buie icone i cui oscuri riflessi gli avevano acceso una morbosa
curiosità. Al punto che gli capitava di osservare con insofferenza, se non con
una punta di sdegno, le foto che gli amici a volte gli mostravano, trovandole
pacchiane, volgari, addirittura arroganti rispetto all'ambiguo e tenebroso
mistero che rimaneva impresso sui negativi.
Un giorno però gli capitò di essere
invitato all’esposizione di un fotografo stravagante che scattava foto
soltanto a quadri d'artista. Egli sosteneva che le sue "riproduzioni"
erano fantasiose reinvenzioni di opere originali e dunque esse stesse opere
d'arte. Ad Angelo, per la verità, sembravano soltanto piatte fotografie di
quadri o di statue, prive di ogni valorizzazione del colore o del volume che
avrebbe potuto arricchire di senso la riproduzione. Pareva assurdo, ma proprio
quelle immagini che nella loro diafana impersonalità potevano trovarsi in
sintonia con l'aridità d'animo di Angelo, al contrario lo indisponevano, gli
provocavano un senso di disappunto, quando addirittura non gli suggerivano
l'idea di una frode d'arte. Se non altro, la lunga frequentazione dei negativi
di pellicole gli aveva sviluppato una notevole perizia non solo nel tradurre le
sfumature acromatiche in colori distinti, ma anche nel valutare le stesse
riprese fotografiche. Il nonno, d'altronde, era stato un estroso reporter che
non si era mai compiaciuto di riprodurre la realtà così com'era, e le sue
immagini avevano lasciato impressa la loro originalità anche su quei negativi
che erano stati per Angelo una preziosa scuola di sensibilità.
Vagando irritato tra quegli scialbi
simulacri di opere somme, capitò per caso di fronte a un lungo e stretto
corridoio che finiva nel buio. Attirato dalla sua ancestrale passione per
l'oscurità, vi si avventurò fino a raggiungere il fondo che finiva con una
porta. L'aprì con un’ombra di sospetto ed entrò in una stanza buia. Cercò a
tentoni l'interruttore e accese la luce. Di colpo si illuminò sotto i suoi
occhi un'ampia, completa e attrezzata camera oscura. Sulla sinistra procedevano
allineate tre bacinelle colme di liquidi dall'odore acidulo e il colore
giallastro, sul piano di fronte si trovavano forbici, pinze, bastoncini e
mollette in ordine sparso, mentre lungo il lato destro scorreva un filo con
qualche foto appesa che ancora sgocciolava. Quasi d'istinto, come preso da un
raptus, Angelo si precipitò verso un armadietto incastrato in un angolo e
cominciò ad aprire tutti i cassetti. Con uno spasimo voluttuoso mise sottosopra
tutto quello che trovò: obiettivi, panni, rullini, salvalenti, cartelle...
finché finalmente non riuscì a scovare i tanto sospirati negativi.
Già, erano proprio loro, buttati lì,
alla rinfusa, senza riguardo, come fossero scarti di un'opera che in fondo non
era nemmeno valsa la pena di sviluppare. Angelo accese la lampadina che
penzolava sopra il tavolo di lavoro e con una premura quasi chirurgica si mise a
scorrere in controluce i frammenti di pellicola. Eccoli là i dipinti, le
incisioni, i marmi, le colonne che l'amico aveva tanto diligentemente
riprodotto... da quella più chiara a quella più scura si potevano facilmente
indovinare le diverse tonalità di luce che avevano sprigionato le immagini dal
vivo... Così senza la minima esitazione Angelo riuscì a identificare le
diverse opere semplicemente dalle loro impressioni negative: quei due corpi
scuri uniti in un abbraccio sensuale era Il
Bacio di Rodin... quelle figure ombrate intorno ad un grande tavolo era L'ultima
cena di Leonardo... e queste torri così eccentriche e movimentate non era
forse il Parco Guell di Gaudì? E via via ecco la sagoma bianca che
rappresentava il corpo nero su sfondo blu dell'Icaro di Matisse... mentre quella massa chiara sdraiata su un piano
di legno era senz'altro una Figura in
piombo di Moore... e cosa dire di questa pioggia nera che rispecchiava le
bianche cascate intorno alla Casa Kaufmann
di Wright?
Sempre più rapito da quei chiaroscuri
tanto contrastanti, Angelo continuava a sfogliare febbrilmente i tagli di
pellicola usciti miracolosamente dal cassetto. Pur sentendosi diviso tra
l’ansia del ladro di essere colto in flagrante e la voluttà del guardone di
divorare immagini con gli occhi, tornava a osservare infinite volte le stesse
figure con un tale ardore, che nessuna delle foto esposte nella mostra era
riuscita a trasmettergli.
Ma ecco, a un tratto,
qualcosa di assurdo, di grottesco, di curiosamente inconsueto. Tra tante macchie
grigie contornate di bianco su sfondo nero, comparirono improvvisamente alcuni
colori... sì, si trattava proprio di colori vivaci, intensi, marcati... Angelo
credé di sognare... quello che vedeva non erano le solite variazioni di grigio
più scure o più chiare, ma certe curiose sagome colorate di verde, viola,
celeste, marrone... Sforzandosi di capire cosa fosse fu all'improvviso
illuminato da un'intuizione: ma sì, ora ricordava... si trattava dei quadri
cubisti di Picasso! Quando aveva visto le foto che li riproducevano era rimasto
colpito dal concerto cromatico che sprigionavano quelle forme sinuose e
articolate. L'azzardato accostamento di tinte così contrastanti come il giallo
limone, il verde pisello, il rosso magenta o il lilla ciclamino, all'interno di
forme surreali o astratte, esprimeva appieno il genio artistico del grande
pittore. Ora però Angelo si trovava tra le mani quelle sagome riprodotte
"all'incontrario", dove i colori così brillanti non si tramutavano in
ombre opache ma in altrettanti colori accesi, ricreando al negativo una nuova
opera d'arte. Ripensando ai quadri originali egli riuscì a individuare come nei
negativi il rosso virasse in verde, il giallo si tramutasse in blu, il marrone
divenisse celeste e il verde trascolorasse in viola. Era come se l'impronta
dell'originale non rispecchiasse il suo esatto contrario ma una singolare
variante, in cui rimanevano costanti i contorni delle forme, mentre variavano le
tinte.
Angelo rimase ancora
per qualche minuto a fissare incredulo quei fotogrammi. Poi con uno scatto
improvviso distolse lo sguardo e rimise rapidamente i negativi dentro il
cassetto. Senza indugiare oltre infilò la porta della camera oscura e si
precipitò lungo il corridoio verso la sala. Arrivò col fiatone, una terribile
ansia e la faccia sconvolta in mezzo alla gente che lo guardò sconcertata. Ci
mise un po' per ridarsi un contegno e con uno sforzo supremo cercò di tornare
alla sua consueta normalità. Ma per quanto si desse da fare era perfettamente
cosciente che da quell'istante la sua vita era cambiata di colpo. Tutta
l'esperienza costruita intorno alla paziente osservazione dei negativi era
svanita d'un soffio. Le ponderate deduzioni, le verifiche attente, le illuminate
intuizioni maturate negli anni non avevano lasciato più traccia. Era come se un
intero modello di percezione avesse rivelato tutta la sua insensatezza... ma
allo stesso tempo avesse suggerito una nuova modalità di visione.
Fu proprio allora che
Angelo si sentì attraversato da un autentico brivido di follia... ecco dove si
nascondeva il vero segreto dell'autenticità... nel viraggio del colore! Certo!
Non era un bianco che diventava nero oppure un grigio che occultava un altro
colore pallido o sporco... No! Era nella trasformazione radicale di una tinta in
un'altra... era il magico trascolorare di una dominante in giallo in una
dominante in rosso... era il verde che diventava viola, il marrone turchese,
l'arancio blu e il rosa indaco... Era lì che riposava il seme dell'originalità!
Non nell'imitazione... non nell'opposizione... ma nella variante cromatica!
Nella risposta a una gradazione con un'altra gradazione... a una sfumatura calda
con una sfumatura fredda... in una spirale di invenzioni giocata su un dialogo
di ombre e di luci che finiva con l'esplodere in un’autentica trasfigurazione
poetica! Proprio da quel buio ermetico dei negativi si era sprigionata
l'illuminazione risolutiva di Angelo. Ora aveva la chiave... la chiave per
diventare diverso, interessante, originale, persino un po’ eccentrico. Ora
sapeva cosa doveva fare per liberarsi della sua conformità... cercare, scovare,
inventare per ogni forma una nuova variante.
Inizialmente in modo
schematico, poi affinando una sensibilità personale, Angelo cominciò a fare le
proprie scelte: aveva vestito sempre di nero o di blu, ora sfoggiava abiti in
verde, turchese e viola, tenendo conto della compatibilità dei contrasti;
l'arredo della casa era sempre stato ordinario, ora lo vivacizzava con
un'impronta a volte liberty, a volte naïf; sul lavoro aveva sempre avuto un
atteggiamento servile, ora si proponeva attraverso soluzioni brillanti per ogni
tipo di circostanza; la sua indole tanto stupida e inerme aveva sempre
indisposto gli amici, ora sorprendeva per vivacità immaginativa e prontezza di
spirito.
Giocando così sul
modello della variante Angelo si trasformò a poco a poco da persona scarsa,
mediocre, banale in un personaggio stravagante, bizzarro e un po’ pazzo. Il
suo salotto divenne luogo esclusivo per feste, giochi e spettacoli, i colleghi
di lavoro lo cercavano per ottenere buoni consigli, gli amici gli giravano
intorno per trarne divertimento, le donne si accapigliavano per conquistare la
sua attenzione, in una baraonda generale in cui Angelo non sapeva più a chi
dare il resto.
Sempre ignorato,
criticato, deriso... ora si ritrovava al centro dell'attenzione... fonte di
spirito, motore di allegria, esempio di inventiva, modello di originalità...
imitato nello stile, seguito nelle idee, desiderato per il fascino, ammirato per
l'umore... Ormai era diventato Angelo l'estroso, Angelo il fantasista, Angelo
l'intuitivo, Angelo il ribelle... Mille Angeli caduti dal cielo con tutti i
colori dell'arcobaleno, che mutavano in continuazione a seconda di imprevedibili
varianti... In fondo tutti Angeli allegramente variopinti ma privi di qualsiasi
autonomia... simulacri di persone... passerelle di pupazzi... caroselli di
maschere senza identità... crogiolo di feticci... incastro di attrazioni...
caricature fatiscenti di sfuggente vacuità... Ecco, questo era il vero Angelo
che alla fine era diventato: esaltato, geniale, maniaco, incosciente, risoluto e
pazzo.
Trascorse in questo
modo i suoi giorni di gloria e i suoi abbandoni cromatici, sempre diviso tra la
sperimentazione di nuove varianti e la frantumazione di innumerevoli Io,
trasformandosi senza sosta in autore ingegnoso della propria personalità e in
vittima ignara di una realtà impersonale, allo stesso tempo ambivalente e
sdoppiato, molteplice e unico, finalmente qualcuno nel momento in cui non era
ormai più nessuno.
Pareva che alla fine
avesse trovato la sua strada, certamente un po' stravagante, ma pur sempre
originale, che sembrava potesse portarlo molto lontano, per lo meno lungo i
balzani percorsi delle sue imprevedibili trasformazioni. Angelo continuò a
vivere sempre così, abbandonandosi all'estro e seguendo l'intuito, senza più
provare però l'antico stupore nell'osservare quei cromatici negativi che
avevano tanto stravolto la sua vita. Solo un'immagine fece eccezione, che
ingrandita cento volte e incorniciata sopra il divano non si stancò mai di
contemplare: era l'immenso, maestoso, affascinante negativo di Guernica.
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