“Arrivederci - mi disse con una stretta di mano.
Era il 6 gennaio a mezzanotte, alla porta di casa mia. Avevamo chiacchierato per
delle ore di tutto quello che ammiravamo: del genio di Simeone Timoshenko, delle
fosse antitanks, dei sovietici, del Quintetto op. 57 di Dimitri Shostakovic e
sulla possibilità di un viaggio da Madrid, Genova e Udine fino a Mosca, senza
passaporti. - Arrivederci - ripeté con un sorriso e scomparve svelta con gli
amici. Dieci minuti dopo era in un taxi immobile, fredda e sola”.
Nel 1942, a soli 46 anni, Tina Modotti, fotografa
friulana, muore di un'improbabile attacco cardiaco. La stampa messicana parla di
“tipica eliminazione stalinista”, affermando che si sarebbe trattato di
avvelenamento. La sua morte viene messa in relazione con l'assassinio del suo
compagno Antonio Mella e con quello di Trotzkij. Espulsa nel '30 con un
pretesto, in Messico Tina era tornata da pochi anni. La prima volta era arrivata
con Edward Weston, un fotografo americano.
Tina era nata a Udine nel 1896. Era arrivata in
America nel '13 con il "passaporto rosso" dell'emigrante e nel '20,
dopo aver lavorato come operaia, si ritrova ad Hollywood ingaggiata per dei film
commerciali. Interpreta ruoli di zingara, odalisca e donna perduta. Ma a
Hollywood rimane solo pochi mesi. Incontra Weston e decide di seguirlo in
Messico.
Il Messico alla fine degli anni '20 è un grande
polo di attrazione per gli intellettuali americani. Sono gli anni della riforma
agraria, della distribuzione delle terre e delle campagne di alfabetizzazione.
Quando nel '26 Weston torna negli Stati Uniti, Tina affitta un appartamento in
cui sistema anche una minuscola camera oscura. Comincia a girare il Messico
cercando di documentare la realtà di questo paese.
All'inizio le sue foto riproducono studi sulla forma
e sul colore: sono le foto delle “calle” bianche su fondo bianco e dei
gigli. Poi cerca nuovi soggetti. È il periodo dei viaggi verso l'interno del
Messico, viaggi in cui sembra cercare facce e modi di vita più simili a lei.
Cerca complicità nelle donne messicane. Ne nascono bellissimi ritratti di donne
che esprimono tutta la loro cultura negli oggetti che usano, per esempio nelle
zucche per portare l'acqua.
Nel '27 diventa militante del Partito Comunista
messicano. Prepara un'inchiesta fotografica sugli emarginati, lasciandoci il
reportage “Ciudad de los palacios”. Le foto delle mani del campesino attorno
alla pala e delle mani della lavandaia, simboli del lavoro e della fatica, sono
di questo periodo. Nel '29 Antonio Mella viene ucciso proprio mentre sta
rincasando con Tina. Il partito comunista viene dichiarato illegale e la
situazione di Tina diventa precaria. “Caro Edward, sono ancora in Messico ma
è spiacevole non sapere per quanto tempo ancora sarò qui. È impossibile fare
piani di lavoro. Penso seriamente di fare una mostra. Sento che se devo lasciare
questo paese gli devo almeno questo: mostrare non tanto quello che ho fatto, ma
quello che può essere fatto, senza dover risalire alle chiese coloniali, ai
"charros" e alle "chinas poplanas" e robaccia del genere su
cui la maggior parte dei fotografi indugia”.
Un anno dopo qualcuno spara sei colpi di rivoltella
contro il presidente messicano Ortis Rubio. Tina accusata dell'attentato viene
arrestata. “Credo che tu sappia quello che mi è accaduto. Sono stato in
carcere tredici giorni e poi espulsa. Saprai certamente con quale pretesto il
governo mi ha arrestato. Nientedimeno che la mia partecipazione all'ultimo
attentato contro il neoletto presidente. Sono sicura che, per quanto tu possa
provarci, non saresti capace di dipingermi come il capo di una società segreta
di bombaroli. Eppure, questa è la storia che l'opinione pubblica messicana ha
digerito con il caffè del mattino, si possono dunque biasimare i loro sospiri
di sollievo nel sapere che la feroce e sanguinaria Tina Modotti lascerà per
sempre i lidi messicani?”.
“Guardo fuori della finestra della prigione. C'è
un prato americano assolutamente pulito e immacolato con al centro una vasca, e
su questa, sventolante al vento, una bandiera stelle e strisce, che, se non
fossi una ribelle senza speranza dovrebbe ricordarmi continuamente l'imperio
Legge e Ordine”. L'ambasciata italiana le offre un biglietto di sola andata
per l'Italia che equivale ad una condanna a morte: antifascista dichiarata, Tina
non poteva tornare nell'Italia di Mussolini. Viene espulsa: imbarcata su di un
battello e guardata a vista sbarca in Europa.
A Berlino, dove Hitler si prepara alla conquista del
potere, si ferma solo pochi mesi. Decide di andare in Russia dove Stalin sembra
sia una speranza. Smette di fotografare. Scrive a Weston “ Ho iniziato una
vita completamente nuova, vendi la mia macchina fotografica, a me non serve più”.
In seguito si recherà in Polonia in Francia e in Spagna. Nel 1939 torna in
Messico. Riprende lentamente a fotografare. Fa una vita molto ritirata evitando
accuratamente di frequentare le persone che aveva conosciuto nel 1929. Prepara
una documentazione sulle opere d'arte dello Yucatan, il cui materiale è andato
disperso. Quando muore a soli quarantasei anni in circostanze misteriose i
grandi la celebrano ma è il popolo ad accorrere al suo funerale.
Dice di lei il fotografo Tano D'Amico “Tina era un
essere libero. Ha voluto conservare un modo di vedere che era negato, un'umanità
che era destinata a scomparire. È stata una donna sincera che ha amato le
immagini e quando si amano le immagini non si amano i poteri”.
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