Ho
seminato i miei pezzi nel vuoto.
Le immagini hanno messo radici cominciando a
vivere di vita propria.
Le
osservavo da fuori divertita. Sperimentavano, provocavano, giocavano,
scoprivano, si indebolivano, si rafforzavano.
L’una faceva finta di non sapere dell’esistenza dell’altra.
Loro non hanno mai dato mostra di saperlo ma non sono mai state sole nel
loro vagabondare. Avevano me, il mio sguardo ironico e saldo indicatore di
direzioni che costantemente tracciava la strada e le teneva tutte assieme nel
labirinto.
Poi
le mie immagini (le immagini riflesse fanno finta di non sapere che io le
guardo. Tutte assieme guardano e riflettono me), di colpo, si son sentite
separate tra loro, hanno cominciato ad uscire dagli specchi.
Mi son venute incontro. “Fuori dal labirinto”, mi dicono. Vogliono
tornare da me. Hanno sprecato, hanno sporcato, hanno vagabondato, si sono
svendute in giro, hanno regalato. Ora, erose e povere, guardano silenziosamente
la mia porta sbarrata.
Sono
disperate. Pentite. Umiliate. Stanche. Dovrei avere pietà? Non so.
Forse
dovrei preparare del cibo. Come si fa con il figliol prodigo.
Forse
dovrei metterle a dormire.
Le
guardo. Erano solo parole. Ora sono uomini e donne.
E la mia casa non è grande. Potrebbero vivere tutte assieme in uno
spazio cosi’ piccolo?
Dovrei
amarle?
Non
so.
Non
sono belle queste immagini. Non sono pulite. Non hanno fatto del bene. Hanno
lungamente dissipato perdendo tutti i treni. Non lo so. Non so più se so essere
generosa con me stessa e con gli altri. Si
meritano di essere abbracciate le mie immagini? Non so neanche questo. So solo
che con lo sguardo mi dicono che vogliono tornare a casa. Mi supplicano di non
allontanarle. Mentre il cerchio si
sta di nuovo chiudendo.
“Come
on you raver, you seer of visions, come on you painter, you piper, you prisoner
and shine”....
“E
sarò come sono.
E
sarò cigno.
E
sarò nero”.
|