Il
mio primo libro fu un libro che parlava di donne e parlava
di quegli uomini che, non arrivando a capirle, si sforzano solo di amarle
incomprensibilmente. E non riescono. Sostenevo la tesi che per gli uomini capire
è amare e di conseguenza non possono amare pienamente una donna,
mentre per le donne amare è capire e naturalmente
l’amore di una donna verso un uomo può essere assoluto.
Il
libro ebbe più del successo che speravo ma, più della mediocre vendita e di
qualche riconoscimento, mi piacque la brezza di voci che mi seguivano nei
corridoi dell’università e mi piacque il gruppetto di ragazze che con una
scusa qualunque si fermavano dopo le mie lezioni per parlare di “Guarda
altrove, uomo”.
Il
mio secondo libro -allora tenevo lezioni sul piacere e il desiderio nelle
dottrine dei presocratici- parlava di donne che vengono amate dagli uomini solo
dopo un evento di palese incomprensione per il quale gli uomini vengono da altre
donne lasciati. Discutevamo, io e le ragazze alle quali si erano aggiunti maschi
consenzienti più per convenienza che per convinzione, discutevamo di come essere
lasciati significasse non un
fatto pratico -avevo escluso la possibilità del divorzio come scappatoia-
ma l’essere abbandonati nella condivisione della vita.
Io
sono una donna dura. Io sono diventata una donna dura. E secca. E’ così che
sono riuscita a farmi spazio nel mondo. Ora sono una donna dura, secca e
stimata. Sembra che la gente ti possa apprezzare davvero solo se ti rispetta e
ti rispetta solo se produci e produci solo se:
1)
Fai figli;
2)
Occupi un posto di lavoro importante;
3)
Riesci a zittire un uomo.
Io,
di mio, due su tre. Nessun figlio. Ma di figli ne ho prodotti tanti, tutti i
miei studenti, tutte le mie ragazze. Un figlio non è solo una combinazione
chimica, un figlio è ciò che tu vuoi che sia. Mi chiedono: E le inclinazioni
individuali? E la personalità? E il carattere?
Io
rispondo che in fondo non c’è niente che sfugga al libero arbitrio. Vale per
una madre, vale per un figlio. Non è una questione di età. Se
giochi bene la tua partita a scacchi, prima o poi lo scacco matto arriva.
Io non credo nel destino, non credo nella reincarnazione o nelle pre-natività
… esiste un termine più specifico di questo? Devo ricordarmi di scriverne un
saggio …
Io
ho scelto di essere quello che sono e ho scelto di avere figli-studenti,
seguaci, parassiti, che siano quello che io voglio.
99,999
periodico (è possibile?) di possibilità. Tutto quello che resta fuori è …
il miracolo. E’ l’inaspettato non atteso, è lo studente figlio che mi si
ribella con valide tesi e puro cuore, la percentuale che resta fuori è il quid
che inspiegabile resta appeso sull’anima ma se capita, capita che ti
distrugge, prima. Tutto si beve un amore mai nato, e il resto è solo vita.
Io
non l’ho avuto quel quid,
quel mistero, quella porta del cuore e sono
diventata una donna secca.
Fino
ad oggi.
Seppi
della morte di Agnese perché qualcuno dei colleghi lo aveva saputo da qualcun
altro che era venuto a dirmelo come per passarmi il testimone, convinto che ci
si dovesse ricordare a forza della Dottoressa C. la cui tesi in filosofia del
linguaggio veniva ancora analizzata nei corsi di specializzazione.
Così
toccò a me accostare nomi sul telegramma costernati … improvvisa perdita
… dolore …
Al
suo funerale divenni un nastro viola tra petali bianchi di rose e dopo divenni
una vita come le altre, solo con un pensiero in più al quale non sapevo che
forma dare e del quale mi dimenticai presto.
Pensavo
al mio terzo libro, pensavo a come raccontare di donne che non vogliono essere
amate accontentandosi di amare senza pretese.
La
telefonata arrivò un mese dopo il funerale di Agnese, verso sera:
“Pronto?”
“Potrei
parlare con Costanza per favore?”
“Sono
io, chi è?”
“Sono
la madre di Agnese”
“Signora
…”
“Ho
qualcosa per lei da parte di Agnese.”
Brevemente
parlammo, no,
forse è meglio non venire … sì, va bene, faremo così, è meglio che lei mi
spedisca … cosa … il pacco, sì, un pacco
…
Ci
salutammo brevemente, sapevamo entrambe che non ci saremo riviste mai più.
Rabbrividii
pensando a cosa la madre di Agnese -o
peggio, Agnese stessa- potesse avere
per me. Sperai non si trattasse di un messaggio, voglio dire uno di quei
messaggi che le persone troppo sconvolte dalla morte di qualche caro inviano un
po’ a tutti, convinte di averli ricevuti dalle anime dei propri morti.
Io
sono una donna che definiscono dura. Io credo nelle leggi della vita e
della morte. Credo nel dovere sottostare ad entrambe le condizioni con lo stesso
rigore e la stessa lealtà: non ci si uccide in vita, non si vive in morte.
Credo che le anime non vadano disturbate (non da vive né da morte) e credo che
certe finestre non vadano aperte.
E
poi c’è un’altra faccenda: l’dea di un flusso di spiriti che varca le
porte invocate dai vivi mi crea pena, non sollievo … e se non riuscissero a
fare ritorno dall’altra parte? E se li condannassimo così ad un’eterna
permanenza presso di noi?
Oggi
è arrivato il pacco. Sono andata a ritirarlo alla posta, ho firmato qualche
foglio, mi sono fermata in un bar per bere un caffè, ho giocato un po’ con il
tempo perché mi vergognavo della feroce curiosità che mi cresceva dentro.
Arrivata
a casa mi preparo un altro caffè, accendo una sigaretta e resto a fissare il
pacco. E’ ora di aprirlo.
Su
un bigliettino scritto con cura leggo: Questo è un pensiero per te Costanza.
Buon Natale. E’ come un pugnale nel cuore pensare che qualche Natale
-ma quanti ne sono passati?- Agnese abbia pensato ad un regalo per me,
carta da lettere delicatamente racchiusa in un nastro rosso.
In
realtà non c’è mai stato alcun Natale passato insieme … in un attimo
ricordo una conferenza dell’anno scorso, o forse due anni fa o tre … non
riesco a collocarla nel tempo, ma ricordo lei che sembrava uno spettro, una
testa nera e gli occhi truccatissimi … che altro che altro che altro … una
telefonata, sì, una telefonata alla quale io non risposi, ascoltai solo il
messaggio in segreteria, un messaggio di auguri … oddio, era solo Agnese,
l’avrei rivista, l’avrei richiamata, ma era Natale, avevo la casa invasa da
persone, allievi, colleghi … mi dimenticai di lei, in fondo era solo stata una
compagna di studi e, a parte quella tesi, neanche particolarmente brillante.
Io
sono una dura?... Io sono una vigliacca: ho riavvolto il nastro della segreteria
… per quanto tempo restano registrati i messaggi? E’ possibile che ci siano
come nei telefonini i messaggi di anni passati?...Niente. Ascolto e riascolto:
mia madre, mia cugina, mia madre, studente, studente, lui, università …
niente. Va bene. Ho cancellato il messaggio. Mea culpa. Ma che cosa le è
saltato in mente a questa? Bastava dirmelo: diventiamo amiche?...Bastava
chiederlo. Sono arrabbiata. Che cosa è? E’ una vendetta? Agnese si sta
vendicando perché non le ho mai dato retta?
Ma
chi ha mai dato retta ad Agnese la nera? Agnese per noi del gruppo era una sfigata,
era una di quelle che portano ièlla, lei era esattamente quello che
sembrava agli altri: non particolarmente bella, non particolarmente brutta, non
particolarmente interessante, non particolarmente brillante … certo la sua
tesi è straordinaria, tanto che qualcuno dubita che sia stata veramente lei a
scriverla … ancora oggi la considerano esemplare
e straordinariamente significativa …
Ma
di lei ti dimenticavi subito, non ti veniva in mente di chiederle il numero di
telefono, non ti veniva in mente di invitarla ad una festa, di presentarla ad un
amico … oddio, ma che cosa penso … e se a casa sua ci fossero decine di
pacchi e su ogni pacco un nome … e se a Natale Agnese avesse chiamato tutti
noi del corso e nessuno avesse risposto …
Non
mi sento bene e non mi piace sentirmi così. Devo sapere. Riapro il pacco e
scopro un biglietto dopo l’altro, un regalo dopo l’altro, c’è un libro
per il mio compleanno senza che io ricordi quando abbia mai detto ad Agnese la
mia data di nascita, c’è un profumo per l’esame finale, un portachiavi spero
ti piaccia come quello che hai perso, una sciarpa per le tue tonsille e
mille fotografie sistemate sul fondo. Eccomi, vestita di un pallido verde
guardare qualcosa distante dall’obiettivo. Mi ricordo: E’ il giorno della
mia laurea, il giorno in cui anche Agnese si laureò.
Dietro
ogni foto, con bella calligrafia, Agnese ha scritto una data e su qualcuna anche
l’orario.
Metto
tutte le fotografie in ordine, tutte in fila una accanto alle altre e
ricostruisco quel giorno. Qui ci sono io e un gruppetto di
altri ragazzi, tutti noi con la tesi in mano, tutti nel grande atrio
dell’ateneo, i visi un po’ tesi, aspettiamo che ci facciano entrare.
In
quest’altra, Agnese mi riprende di spalle, forse è una fotografia sbagliata
oppure ha una storia che solo lei conosceva e non ha potuto raccontarmi. Ma
questa è la più atroce: io e due amiche dopo avere discusso la tesi,
aspettiamo i voti serene, i visi leggermente arrossati, ci stringiamo l’una
alle altre, io al centro rido e incredibilmente guardo dritta dritta
nell’obiettivo. Dunque io sapevo di quella foto e forse l’ho chiesto proprio
io ad Agnese di scattarla.
Ora
ho gli occhi umidi, ho un grande desiderio di piangere per quei momenti, per il
mio vestito verde che ormai non mi entra più, per l’attesa prima del voto,
per te Agnese, per le telefonate che non ti ho fatto, per i messaggi in
segreteria, perché non so qual è il tuo colore preferito, il tuo compleanno o
l’autore che ami.
Quanto
tempo ancora ti avrei ignorata?
Così
piangendo, apro il tuo ultimo dono: un mozzicone di sigaretta, una Davidoff, le
sigarette che fumavo -costose e puzzolenti- per darmi un’aria diversa. Tu
l’hai avvolta in un biglietto:
Questa,
Costanza, è la prima ed ultima sigaretta della mia vita.. Mi ha fatto venire la
nausea.
Ti
ringrazio perché non sarò una fumatrice …
Ed
eccoti, un autoscatto un po’ sfocato, un lampo azzurro negli occhi neri, una
finestra aperta alle tue spalle. Non sorridi, non sei triste, non vuoi essere
niente ma hai voluto darmi tutto. E riesco a vederti bella, un’anima chiara,
un giorno veloce, una pozzanghera limpida, una corsa ad occhi chiusi verso il
cielo.
Ho
rimesso ogni tuo dono al suo posto, ho continuato a piangere e inizio a
scriverti, per tutte le volte che non ti ho scritto mai, per tutte le volte che
facevo del tempo da non perdere il mio unico compagno. E piango per tutte le
fotografie che mai ti ho scattato, lasciando ad un autoscatto l’ultimo senso
di te.
Questo
sarà il mio terzo libro, parla di me che ti guardavo senza vederti, ti passavo
accanto e non mi sono fermata, ti ascoltavo senza pensare che tu potessi avere
un cuore spalancato alla vita come il mio. E mentre scavavi il segno ti te nella
mia anima, io coniugavo presenti e futuri in una monotona cantilena che si
perdeva nel gioco dell’invincibilità. So che non torni Agnese, ma inizio a
credere che lieve come sei sempre stata, passerai a leggere queste parole e come
attraverso i vetri di una finestra, saprai di avere un’amica qui, dall’altra
parte della vita.
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