Cesare era andato a
zonzo per la campagna, nel frizzante pomeriggio di fine settembre profumato
d’autunno incipiente. Aveva con sé la macchina fotografica. Per lui ogni
occasione era buona per ricercare soggetti interessanti da fermare sulla
pellicola.
Incontrò la baracca mentre stava tornando all’auto, percorrendo un
sentiero diverso da quello dell’andata. Era una struttura in legno di notevoli
dimensioni, dall’aspetto malandato ma robusto. Dei folti e rigogliosi cespugli
quasi la nascondevano, mentre alcuni rovi tentavano di introdursi al suo interno
attraverso diverse fessure. Il sole, basso al= l’orizzonte, infondeva una
poetica bellezza pure a quella vecchia e rustica costruzione.
Il giovanotto, incuriosito, si mise ad osservare attentamente la
stamberga girandole attorno. Alla fine s’accostò ad una finestra, non molto
ampia ed alquanto sporca. Guardandovi attraverso s’accorse che, se i vetri
degli infissi non fossero stati così sporchi, all’interno ci sarebbe stata
luce bastante a scattare delle foto.
Cesare mise un nuovo rotolino nella macchina fotografica, quindi riprese
la baracca da varie angolazioni. Alla fine decise di entrare.
Non fu semplice raggiungere la porta, sbarrata com’era da un piccolo ma
fitto roveto. Spalancarla fu meno complicato, dato che si apriva verso
l’interno.
Una volta dentro si trovò davanti una massa oscura. Si sorprese di non
averla notata quando aveva sbirciato attraverso la finestra. Come i suoi occhi
si furono abituati alla penombra vide che era la riproduzione, in scala ridotta,
di una casa. Era apparentemente perfetta in ogni particolare. Era ad un piano,
dipinta di color mattone e con le persiane verdi. Il portone, con la sommità ad
arco, era marrone scuro e recava due ma= niglie in lucidissimo ottone.
Cesare si avvicinò al modello per studiarne l’interno, ben deciso a
tornare il giorno dopo. Con la piena luce solare, o con l’uso di un flash, che
in quel momento non aveva con sé, avrebbe
potuto fare delle buone fotografie.
Lì per lì non si rese conto che, avvicinandosi alla casa, essa
aumentava le proprie dimensioni. Quando provò ad aprirne la porta, la cui ser=
ratura scattò senza difficoltà, aveva le proporzioni d’un normale edificio.
Se ne accorse trovandosi davanti un vasto ambiente ben illuminato da una
sorgente almeno apparentemente situata nelle pareti stesse.
Certo di avere un’allucinazione Cesare si volse, per guardare
l’interno della baracca. Aveva le stesse misure di quando era entrato.
Affacciatosi di nuovo nella casa ne trovò l’interno spazioso. Provò
diverse volte a guardare da una parte e dall’altra. I due ambienti mantenevano
le stesse proporzioni, rispetto a lui.
Spinto da un’invincibile curiosità il fotografo si fece avanti,
lasciando la porta spalancata. Esplorò il pian terreno, tutto ben illuminato.
Era arredato con estremo buon gusto, e pareva esserci stato qualcuno fino a
pochi momenti prima. Non c’erano cantine o seminterrati.
Affacciatosi ad una finestra, prima di salire al piano superiore, le
dimensioni dell’interno della baracca gli parvero spropositatamente aumentate.
Quasi fuggì dalla casa, sconvolto, oltrepassandone la soglia con un salto per
ritrovarsi in un ambiente d’ordinarie proporzioni.
Con un senso di nausea si appoggiò allo stipite dell’uscio della
baracca. Si mise ad osservare alcuni alberi, fruscianti nella brezza della sera
ormai prossima alla notte, per ritrovare un po’ di calma.
Cesare si sentiva disorientato, ma la curiosità era troppo forte. Così
avrebbe continuato l’esplorazione, per scattare delle fotografie. In un
secondo momento, con calma, avrebbe guardato le immagini ottenute per trarne una
qualche conclusione.
Il giovanotto tornò nella casa, raggiunse la scala che conduceva al
piano superiore. Arrivato in cima ai gradini, dopo avere scattato delle foto dei
quadri appesi su entrambe le pareti, si trovò davanti un unico ed immenso
salone nel cui centro sorgeva il modello di un palazzo con tanto di cortile
all’interno.
Giunto al gigantesco portone dell’edificio, che aveva ripreso da
svariate angolazioni, senza sorprendersi lo trovò delle dimensioni che avrebbe
dovuto avere rispetto a lui. Cesare si guardò alle spalle, trovando il salone
delle stesse proporzioni di pochi attimi prima.
Il giovanotto tornò a fissare l’entrata, che si aprì senza il minimo
sforzo. Si trovò davanti un lungo, ampio e spoglio corridoio sul quale si
aprivano tre austeri usci in legno scuro al cui termine c’era un’immensa
porta a vetri oltre il quale si scorgeva il cortile interno.
Ai lati dell’infisso vi erano due scale le quali, torcendosi verso
l’alto, si collegavano ad un medesimo andito un cui tratto sormontava
l’accesso alla corte con un’elegante spalletta in marmo.
Avanzando, Cesare tentò inutilmente di aprire le porte. Giunto alle
scale salì per la rampa di destra, e soltanto allora in quel momento notò il
profondo silenzio nel quale si era mosso fino a quel momento. Non si percepiva
alcun odore.
Giunto in cima ai gradini si guardò attorno. A sinistra vi era uno
spoglio corridoio cieco sul quale si affacciavano diversi infissi simili a
quelli trovati a pian terreno, mentre sul fondo dell’altro vi erano degli
scalini che salivano. Pure in quella parte di andito vi erano delle porte.
Il giovanotto le provò tutte, dirigendosi verso la scala, trovandole
serrate.
Giunto al piano superiore trovò una stanza sterminata, vasta quanto una
piazza, al cui centro sorgeva un castello con tanto di torri e ponte levatoio
pur non essendo circondato da nessun fossato. L’intensa luce pareva sgorgare
dall’aria stessa.
Dopo avere scattate numerose fotografie al nuovo edificio ne varcò la
soglia. Le dimensioni della costruzione s’accordarono con le sue.
Si trovò in un cortile vasto quanto un paese, sul quale si affacciavano
numerosissime porte. Cesare le ignorò, certo che non si sarebbero aperte. Di
fronte a lui tre ballatoi, uno sopra l’altro, facevano mostra di loro stessi
contro qualcosa che pareva un cielo coperto.
Per l’unica porta spalancata il giovanotto salì sul primo balcone,
dove trovò un altro uscio aperto tramite il quale giunse al secondo palco. Un
nuovo infisso lo condusse all’ultimo ballatoio, dal quale giunse sul tetto. Da
lì Cesare prese a guardare il panorama, consistente in una landa patta e
monotona. Pareva un deserto.
In un angolo c’era un abbaino con una porticina. Il giovanotto l’aprì
senza alcuna difficoltà, per trovarsi davanti un nuovo corridoio di rozze
pietre grigie, illuminato a giorno, in fondo al quale vi era una scala a
chiocciola che portava verso l’alto. Prese a salirla e quando ormai non ce la
faceva più dalla stanchezza, ormai certo che i gradini non avessero più fine,
si trovò davanti un minuscolo uscio in legno chiaro.
Appena ebbe ripreso un po’ di fiato Cesare tentò di aprire il nuovo
infisso, che ruotava verso l’esterno. Vi riuscì con una certa difficoltà,
come se qualcosa vi fosse stato appoggiato contro.
Una volta fuori il giovanotto si trovò in un luogo semioscuro. Fece
alcuni passi in avanti, guardandosi attorno. E con sbigottimento si accorse
d’essere uscito dalla baracca dalla quale era iniziata la sua avventura,
immersa nel buio della notte.
Affrettatosi a casa, raccontò di avere fatto tardi perché si era
appisolato in macchina alla fine di una lunga passeggiata sui di un terreno
impegnativo.
Il giorno dopo sviluppò, nel proprio laboratorio e di nascosto a tutti,
le foto delle varie costruzioni. La cosa più sconcertante, però, fu che i
quadri appesi lungo le scale della casa narravano la sua vicenda. E l’u= nica
figura umana che vi compariva era luil
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