Lorella Coloni, avanguardie poetiche

Le perturbazioni dell’Informe

di  Lorella Coloni

 

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Secret-dance

Fotografia di Lorella Coloni

Mai per la forma, né per la plastica, né per l’estetica, ma il contrario. Contro assolutamente1

Dopo la feconda epoca dei sonni e la crisi scatenata dal Secondo manifesto del 1929, che dava voce alle intransigenze del Papa Breton e aveva provocato le defezioni di Desnos, Prévert, Vitrac e molti altri, il movimento surrealista attinse nuova linfa dalle ricerche sulla follia e gli stati “patologici”.

 

In questa fase si sviluppò l’interesse verso gli objets trouvé che, agendo come provocatori ottici, diedero il via ad una serie di ricerche che lavoravano sulla dissimilitudine; sovvertendo i rapporti tra le cose e accostando due realtà apparentemente inconciliabili, essi rappresentarono un attentato al principio di identità.2

Ne è un significativo esempio la Palla sospesa di Giacometti del 1930, sfera con una fenditura, appesa tramite una corda di violino sopra ad un cuneo, il cui moto oscillatorio si carica di suggestioni erotiche: la simbologia sessuale, scivolando dal femminile al maschile, modifica i parametri della scultura e, chiamando direttamente in causa lo spettatore, stabilisce una continuità tra lo spazio rappresentativo e quello reale.

 

Tra le categorie di oggetti da proiettare di origine onirica, degli oggetti transustanziati di origine affettiva e gli oggetti-modelli di origine ipnagogica, spiccano le suggestioni sessuali, simbolismi di matrice freudiana e sadica, che hanno dato luogo negli anni alla convinzione che il movimento peccasse di misoginia e non fornisse sostanziali innovazioni dal punto di vista della forma. Tali opinioni sono state recentemente confutate da Rosalind Krauss3 che, al contrario, individua nel movimento un fondamentale apporto di artiste quali Claude Cahun, Leonora Carrington, Dotothea Tanning e Dora Maar e, per quel che riguarda il contributo formale, pone l’accento sulla grossa spinta creativa stimolata dal concetto di Informe, inserito da George Bataille nel Dizionario Critico della rivista Documents del 1929, di cui era direttore. Secondo la sua dichiarazione le parole devono possedere, più che una definizione, una funzione: la forma non è che la “redingote matematica”, la veste artificiale che noi attribuiamo alle cose.

 

Alessandra Violi in un suo saggio4 individua una corrispondenza tra l’idea dell’informe di Bataille e una riflessione di Sant’Agostino: “La mia fantasia si creava forme sozze, orribili, in confusione completa, ma forme, ad ogni modo, sicché chiamavo informe non quello che era privo di forma, ma quello che ne aveva una tale da ripugnare, se si fosse manifestata nel suo aspetto strano e assurdo, al mio sentimento e da conturbare la mia debolezza di uomo. Infatti ciò che io immaginavo era informe non per la mancanza di qualsiasi forma, ma solo in confronto con le cose rivestite di una forma più bella…5

L’informe quindi non è avulso dalla tradizione, ma la percorre in modo trasversale proclamandosi come il suo scarto: si pone lo scopo di declassare, svalutando e sminuendo, determinando continui slittamenti nella logica dei significati delle opere, ma soprattutto vuole turbare le comuni percezioni, cancellando le differenze di genere. Si tratta di un’alterazione costante, un moto teso a rimarcare la doppia natura delle cose: “i piedi nel fango ma la testa quasi nella luce, gli uomini immaginano ostinatamente un flusso che li eleverebbe senza ritorno nello spazio puro. La vita umana comporta infatti la rabbia di vedere che si tratta di un movimento di va e vieni dall’immondo all’ideale, e dall’ideale all’immondo, rabbia che è facile scaricare su un organo basso come il piede […] un ritorno alla realtà non implica nessuna accettazione nuova, ma il riconoscere che si è sedotti bassamente, senza trasposizione e fino ad urlare, spalancando gli occhi: spalancandoli così davanti ad un alluce. 6

Non a caso una delle riviste più rappresentative del movimento surrealista fu chiamata, proprio su suggerimento di Bataille, “Minotaure”, mitica creatura con un corpo umano e una testa taurina costretta a vagare, disorientata e preda dei propri istinti, nel labirinto; alla sua realizzazione collaborarono numerosi sostenitori, da Picasso, autore della copertina del primo numero del 1933, a fotografi come Jacques-André Boiffard, Maurice Tabard e Hans Bellmer.

 

Nelle immagini pubblicate si percepisce nettamente ciò che la Krauss definisce come sfocatura delle categorie: la spinta attuata dall’Informe trascina verso il basso l’asse verticale, mentre la rotazione e il ribaltamento degli assi prospettici trasformano l’umano in animale. Nel Nudo 115 di Brassaï (autore che fu vicino al movimento, anche se non ne sposò mai completamente l’estetica) il torso femminile, perdendo la propria identità, assume una connotazione fallica, mentre nelle foto di Man Ray che accompagnavano il testo di Tristan Tzara. “Di un certo automatismo del gusto”, l’ambiguo punto di ripresa conferisce ad un oggetto comune quale un cappello in feltro di foggia maschile, il conturbante e trasgressivo sembiante dei genitali femminili.

 

Nelle fotografie surrealiste l’attacco alla forma è sempre presente: oltre alla destabilizzazione concettuale, alcune immagini subirono un esplicito assalto chimico: solarizzazioni, deformazioni, distorsioni furono la risposta al concetto della buona forma (Prägnanz) della Gestalt.

Il belga Raoul Ubac realizzò dei brulages esponendo il negativo al calore e al freddo, in modo da provocare una deformazione dell’emulsione, per poi approdare a partire dal 1938 ad una complessa serie di fotomontaggi, Le Combat des Penthésilées, frutto di montaggi di nudi poi solarizzati, rifotografati e nuovamente ricomposti in successivi passaggi; nelle composizioni le compenetrazioni spaziali sono evidenti: i corpi sembrano cedere e liquefarsi, pulsando tra grumi corrugati di materia.

Alla luce delle nuove ricerche psicoanalitiche si estese l’indagine lungo i territori degli istinti e delle pulsioni; dopo i due saggi di Roger Caillois pubblicati su Minotaure su “La mantide religiosa” e “Mimetismo e psicastenia leggendaria”, nella produzione surrealista degli anni trenta la donna/mantide religiosa, simbolo della madre seducente e castratrice, divenne una figura ricorrente: il manichino preparato da André Masson per “L’Esposizione internazionale del Surrealismo” tenutasi a Parigi nel gennaio del 1938, per la quale Duchamp creò un allestimento con il soffitto ricoperto da sacchi di carbone e il pavimento cosparso di foglie, presenta la donna dominatrice racchiusa, con il gusto per il sovvertimento delle simbologie sessuali, in una gabbia per uccelli mentre dei piccoli pesci sono cristallizzati nell’atto di attraversare le sbarre.

Tra questi corpi in perpetua mutazione si inserirono gli sguardi e le risposte delle artiste del movimento: né muse e tantomeno gregarie, Dora Maar e Claude Cahun si posero come energiche protagoniste del loro tempo.

 

 

1 – Alberto Giacometti, 1933

2 – Mario De Micheli, “Le avanguardie artistiche del Novecento”

3 – Rosalind Krauss, “Celibi”

4 – Alessandra Violi, “L’immagine informe: Bataille, Warburg, Benjamin e i fantasmi della tradizione”

5 – Sant’Agostino, “Confessioni”

6 – Georges Bataille, “Le gros orteil”, in Documents n° 6, 1929

 

pubblicato su FOTOIT - 7/8 - 2006