Reportage e senso della fotografia Manifesto per una istruzione alla fotografia di Maristella Campolunghi |
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Vorrei, se permettete,
spostare l’attenzione su un punto che
ritengo importante nel settore della fotografia: l’insegnamento. Passaggio che mi ha permesso di
riflettere è il seguente: “Mi pare quindi che dietro
apparenti questioni di stile e retorica linguistica si nascondano più profonde questioni culturali e politiche. Per questo, ritengo che
siano oggi più interessanti i filmati auto-prodotti dai protagonisti (pensa alle vicende dello Tsunami, di Abu Graib, o all’uso di You
Tube, ecc.) per svolgere la funzione di “denuncia”. Perché se come diceva Wim Wenders: “un film contro la guerra è in fondo anche
un film a favore della guerra” è vero anche il contrario. …Come peraltro può avvenire comunque anche guardando lavori esteticamente
e politicamente “corretti” di autori eccellenti come Paolo Pellegrin. … vorrei brevemente concludere proponendo alla riflessione il
fatto che i lavori più interessanti per superare la morta dicotomia autore/evento sono quelli di artisti contemporanei e anonimi
fotografi occasionali riuniti in un uso puramente indicale della fotografia: restituzione ottica, traccia ambigua di luminosità senza
altro senso che la loro pura esistenza.”… "L'analfabeta del futuro sarà
ignorante sull'uso della macchina fotografica e della penna nello stesso modo." Quest’altra
frase tra virgolette è una profezia di Moholy-Nagy del 1932 ma, quello che mi impressiona, non è solo la sua previsione ma la nostra
incapacità a non porre attenzione a questa “verità” malgrado gli anni dimostrino che la fotografia sia la maggiore e la più
stimolante innovazione nella comunicazione di stampa. In
un batter d’ali la fotografia ha invaso la cultura occidentale (e gran parte di quella orientale) con una tale determinazione che se,
per qualche magia, tutti i materiali e le tecniche direttamente o indirettamente collegati ad essa, potessero svanire in una notte senza
lasciar traccia, la nostra società sarebbe paralizzata. La
fotografia è ormai così integrata nel tessuto della nostra cultura - i fili passano attraverso le varie tecnologie, ma anche la fisica
nucleare, la medicina, tutti i settori dell’industria, ecc - che la formazione della cultura ed il telaio per tessitura della storia
sono assolutamente dipendenti da essa. Dovremmo renderci conto, quindi, che,
“se accettiamo le immagini od i filmati auto-prodotti per svolgere una funzione di denuncia”, analfabetismo fotografico del nostro
tempo è un fenomeno enormemente più grave a causa del suo potenziale espressivo/creativo/comunicativo Siamo ormai tutti d’accordo che la fotografia sia una forma “naturale di arte” e quindi, per logica, dovrebbe esistere un “naturale insegnamento” ma ciò richiederebbe una ristrutturazione radicale dei metodi di insegnamento: bisogna
infondere e nutrire la creatività. Però,
credo che, purtroppo, suggerire che questi dovrebbero essere gli scopi principali dell’istruzione della fotografia è come dire
che la reale lotta, debba essere ancora verso la sua accettazione come una forma di Arte. Ci sarà sempre chi dirà che non si
possa fare Arte con una macchina fotografica o qualcun altro che, se si può, sarà solo imitando i contenuti
estetici di altre Arti Maggiori. Ma, fortunatamente, sia i fotografi che ogni persona coinvolta nel settore, prendono a cuore la
questione e tentano di rompere questo ragionamento vizioso. Però il problema, creato dalle due affermazioni del “naturale”, ci
costringe ad esaminare la situazione da un altro punto di vista. Se
l’istruzione della fotografia è troppo importante non si deve lasciare ai fotografi. Orrore!
No, non saltate sulla sedia! Ma
gli esperti fotografici commetterebbero un fondamentale errore se pensassero che la popolazione del mondo possa essere divisa in due
gruppi: i "fotografi seri" e i non fotografi. Credo
che questa divisione sia imprecisa e crea un mondo ermeticamente sigillato dove gli esperti
ed i loro accoliti si parlano l'un l'altro, inconsapevoli della loro dipendenza e non si confrontano con coloro che sono fuori dai loro
parametri. Ma,
ahinoi, come nella guerra non ci sono, purtroppo, più i civili anche qui non ci sono più i fotografi. Ora
se togliamo lo sguardo dallo specchietto retrovisore e lo portiamo sul ruolo della fotografia nella nostra società, diventa evidente che
c’è bisogno di una ridefinizione radicale del concetto della “comunità fotografica”. Troppo
a lungo abbiamo creduto che includesse solo "bravi" o "artisti" fotografi, curatori, critici e quel piccolo pubblico
specificatamente interessati a guardare, acquistare e leggere i lavori che questi tre gruppi producono.
Anche
se togliamo la fotografia da altre aree a cui accennavo prima e ci concentriamo esclusivamente sui media - film, TV, libri, riviste,
quotidiani - siamo costretti a concludere che riceviamo la nostra informazione dall'immagine fotografica più che dalla parola scritta, il
che significa che il 50% delle nostre decisioni (collettive e singole) è in qualche modo fortemente basato sulla fotografia. Escludere,
perciò, dal “concetto di comunità fotografica” chiunque immetta dati fotografici non è giusto. Dobbiamo,
per forza maggiore, formulare una nuova definizione di comunità; una più adatta al nostro tempo che Includa, senza graduatorie,
chiunque
faccia, utilizza, edita, esamina, valuta, incorpora, studia, apprende o insegna la fotografia, l’
immagine grafica in una qualunque delle sue forme. Dovremmo
quindi accettare che ognuno di questa società e nel mondo faccia parte della comunità e con questa visione di vasta comunità si avrà
un potenziale straordinario di crescita. Un potenziale basato sulla profonda capacità dell’immagine di essere una sorgente di alimento
per approfondire se stessi e la percezione dell’universo in cui viviamo. Per
fare tutto questo dobbiamo riconsiderare l’istruzione alla fotografia. Per
questo dovremmo prendere a cuore la profezia di Moholy-Nagy e lavorare affinchè non si concretizzi del tutto e che ogni persona, e non
solo quelli chi alla fine decidono di seguire la loro vocazione o per il loro svago, vengano educati
bene alle funzioni dell'immagine. Tale
istruzione è vitale come quella della scrittura, della lettura:
si dovrebbe iniziare dall’infanzia ed essere una parte integrale degli insegnamenti a scuola a tutti i livelli. Sarebbe un buon inizio
se ogni istituto superiore offrisse un corso di base (i corsi
attualmente sono scarsi anche negli istituti superiori con sezioni di fotografia) . Se
osserviamo il fenomeno dell'immagine fotografica nella nostra cultura con il suo potenziale quale
strumento evolutivo (come pure rivoluzionario), dobbiamo riconoscere che la fotografia ha molte
funzioni in questa società e che queste hanno poco e forse niente a che fare con l'estetica e obiettivi. Abbiamo
già dimostrato, che la fotografia è una forma di arte: bene!
Insegnare ora solo arte ed estetica non è più sufficiente. Ciò
di cui abbiamo bisogno, adesso, è un avvicinamento didattico alla fotografia che non la
releghi a corsi di belle arti ma bisogna integrarla in ogni disciplina. Si deve alzare il tiro! A
meno che non siamo così superficiali da credere che la capacità di conoscere
i
nostri avi sia semplicemente sfogliando un album di
famiglia e non percepiamo quei cambiamenti che hanno modificato nel tempo le nostre percezioni. Dov’è
quindi, la scuola di psicologia con corsi di fotografia che esplorano congiuntamente questi
cambiamenti? Parliamo
di guerra? Dove sono i corsi di storia che studiano l'esperienza dei soldati, a meno non
pensiamo che la guerra sia una questione romantica?! Tante
domande simili potrebbero essere richieste in ogni disciplina: sociologia, medicina, letteratura. Le
risposte inizieremo a ottenerle solo quando ogni interessato alla istruzione della fotografia sarà disposto a guardare oltre la portata
limitata dell'avvicinamento di arte/estetica e inizi ad applicare pressione per tutto il sistema educativo per un avvicinamento
interdisciplinare alla educazione fotografica, Un
avvicinamento che porterà insieme i fotografi, storici fotografici, curatori di fotografia e critici di fotografia del futuro con
scienziati sociologi, poeti, psicologi, medici, ballerini, musicisti, matematici, fisici e scultori. Dobbiamo
affrontare il fatto che viviamo ora in un sistema sociale del tutto dipendente dalla parola stampata e dall'immagine fotografica. Il
tempo per il cambiamento è ora. Siamo
gli "analfabeti del futuro" Moholy-Nohy ci ha avvertito; i
nostri bambini saranno gli analfabeti di un futuro ancora più disperato meno che non cambiamo rotta e allineiamo l’istruzione della
fotografia con realtà più alte del nostro tempo. Come
concludere questo intervento? In
alcuni casi un lavoro fotografico non è principalmente una dichiarazione di sensibilità estetica o una prodezza intellettuale o
qualsiasi altra cosa, ma una manifestazione del proprio codice morale e per questo dobbiamo pensare ad un insegnamento appropriato a tutti
i livelli della nostra società. |