Ugo Magnanti Ugo Magnanti

 

Una poesia fatta con la Kodak  

di Ugo Magnanti

 

 

          retrocover

- Kodak -

 di Giorgio Caproni

Mia figlia come una fidanzata.

Ah vacanza, seduti

all'ombra d'una verde arcata

della Tour Eiffel.

                               Parliamo

di nulla.

               O ce ne stiamo muti.

 Roma è lontana.

                             Un passero.

 Una coppia eccitata

che scrive una cartolina.

 Tutto uno squillante stormo

(ci uniamo) di saluti.

 

Nel 1978 Giorgio Caproni fu invitato a leggere i suoi versi al Centre national d'art e de culture “Pompidou” di Parigi, insieme a Mario Luzi e a Vittorio Sereni.

La lettura fu tenuta il 5 di giugno, ma il poeta, accompagnato dalla figlia Silvana, si trattenne nella capitale francese una decina di giorni, cogliendo l’occasione per una vacanza. 

Durante quel soggiorno parigino Caproni scrisse ventiquattro brevi poesie, che poi definì “appunti”, o “piccole sottopoesie”, con le quali compose la raccolta intitolata Erba francese, che pubblicò, da quanto ebbe a scrivere, “per semplice necessità sentimentale e mnemonica”.

In questi testi il poeta si confronta con Parigi, la città ‘leggibile’ per eccellenza, così come pensava Calvino, ma lo fa non tanto in quanto città-testo, cioè mescolata con la scrittura, e dunque fitta di muri, viali, oggetti, da cui leggere cose degne di nota, quanto piuttosto come città ‘leggibile’ poiché già molto letta e molto scritta, come mostrano i tanti riferimenti, impliciti o espliciti, nei quali si avverte un’eco letteraria. L’uso frequente di citazioni e toponomastiche francesi sembra esprimere, peraltro, un approccio pervaso di lingua, di scrittura, e dunque, in qualche modo, di letteratura, anche se il tono vuole essere antiletterario.

In una di queste brevi liriche, intitolata Kodak, Caproni usa la nozione di fotografia, alludendo verosimilmente al frangente nel quale avviene lo ‘scatto’, e forse al risultato cartaceo dello ‘scatto’ stesso, per accrescere quell’effetto di alterazione del contesto temporale che è spesso presente nella sua poesia, quando essa rappresenta gli affetti familiari. Kodak descrive con levità una scena della vacanza parigina di Caproni. Il poeta si raffigura insieme alla figlia Silvana, durante la visita alla città, in un momento di sosta. I due sono seduti sotto la Torre Eiffel, vicini a una coppia di turisti occupati a scrivere una cartolina.

Il lettore è avvertito della circostanza, o della soluzione, diciamo ‘fotografica’, soltanto in virtù del titolo, che rappresenta comunque l’espressa volontà dell’autore di richiamare alla mente la fotografia, con ciò che ne consegue in termini di immaginario culturale. E a introdurci nell’ambito di un tempo alterato è appunto il riferimento sintetico alla fotografia, altamente evocativo, collegato all’incipit netto della poesia, in cui il poeta dà di sua figlia, come unica caratterizzazione esplicita, per quanto sfumata dall’occasione insolita, quella di fidanzata: di sua fidanzata (“Mia figlia come una fidanzata”).

A Caproni occorre quindi immaginare, in quel momento, sua figlia come una fidanzata.

Si tratta dell’ennesimo rovesciamento di un rapporto affettivo del poeta, dell’ennesimo movimento attraverso il tempo, che non sempre avviene all’indietro, come in questo caso, ma anche in avanti, in un tempo comunque fuori dal tempo. Così più volte egli è ha creato una condizione irrazionale, ‘mitica’, di un mito intimo, nella quale a lui potesse essere possibile diventare il fidanzato di sua madre, l’Annina di tanti versi, o il figlio di suo figlio, in un inequivocabile desiderio di superare, o di allontanare, la morte.

Qualcosa di simile è stata notata in alcuni versi del poeta francese Andre Frénaud (di cui Caproni è stato traduttore): “Mon père, depuis que tu es mort / c’est toi qui es devenu mon petit enfant (Papà, dopo che sei morto / sei tu che sei diventato il mio piccolo figlio).

In Kodak il movimento all’indietro viene dunque esaltato dall’idea della fotografia, che per sua funzione specifica fissa il momento proiettandolo immediatamente nel passato, ‘assolutizzandolo’, rendendolo fin da subito “storia lontana”, così come pure avviene nella scena descritta in un’altra poesia della raccolta Erba francese, e cioè Saint-Honoré, in cui il “qui e ora”, intuito in un ristorante, ricorda forse l’immagine fermata da uno ‘scatto’. 

Del resto altre tre poesie della raccolta, Istantanea, Fixage, e Flash, si richiamano con qualche evidenza a un repertorio fotografico, pur non riferendovisi in modo diretto.  Ovviamente il viaggio impossibile del poeta, quello attraverso il tempo, appare poi assecondato, e favorito, dal viaggio reale, dal viaggio a Parigi, di cui la raccolta Erba francese può essere vista come diario lirico.

Infatti il viaggio di per sé, rappresentando uno iato rispetto alla vita ordinaria, comporta accelerazioni e rallentamenti temporali continui, e la necessità di ridefinire i punti di riferimento di un ambiente costantemente alterato, che in qualche modo evoca, anche attraverso lo spazio e la memoria, una trasfigurazione dei limiti temporali. È ciò che avviene nella prima poesia della raccolta, In corsa, nella quale Caproni, diretto a Parigi a bordo di un treno, che svolge in questo caso la stessa azione ‘temporale’ della fotografia, per quanto con immagini mosse piuttosto che immobili, subisce una sorta di ‘fusione’ del tempo, in cui “Il presente si perde / già nel futuro. / Il futuro / è già tempo passato”, e l’essere “ancora in treno”, non si pone in contraddizione con l’essere “già ritornato” “da un secolo”.