Un filo rosso della memoria lega l’Inferno di Dante spettacolo di Maria Signorelli del 1983 al documentario prodotto 2020 in occasione del 7°anniversario della scomparsa di Dante Alighieri a Palazzo Rasponi delle Teste di Ravenna.
Sono in mostra burattini, fantocci e materiali di scena dello spettacolo
Ideazione di Giuseppina e Maria Letizia Volpicelli; con il restauro delle scene della costumista d'arte Enrica Biscossi; contributi di Anna Laura Messeri Regista storica e direttrice della Scuola di Recitazione del Teatro Nazionale di Genova; Allestimento e organizzazione del Teatro del Drago.
Regia di Giuseppina e Maria Letizia Volpicelli, Marco Schiavoni. Fotografie di Teresa Bianchi e Maristella Campolunghi .
La divina commedia soprattutto la prima cantica, l’inferno, ha sempre stimolato la creatività degli artisti più disparati.
Nel 1983 Maria Signorelli ebbe l’idea di raccontare con i burattini il viaggio dantesco. Una sfida affascinante perchè, affermava, il burattino non avendo un’anima poteva averne tutte e meglio di un attore poteva interpretare tutti gli aspetti di un mondo medievale.
Lo spettacolo - Inferno di Dante - fece epoca dopo il debutto al teatro Flaiano di Roma partecipò a festival nazionali ed esteri e fu replicato in vari teatri italiani.
Oggi come ieri nella vita di ciascuno di noi la memoria è importante.
Ci introduce nello spettacolo Anna Laura Messeri:
Allora durava quasi tre ore divise in due atti, oggi possiamo ricostruirne solo alcuni momenti e ogni tanto dare una sbirciatina all’intenso lavoro dietro le quinte da cui tutto nasceva.
Si comincia con la visione di una città medievale, il Palazzo del Buongoverno. Dipinto su tela come un enorme quadro, a un certo punto, simulando una ribalta si apriva svelando non solo un mondo straordinario brulicante di personaggi, ma anche una enorme scena che cambiava ad ogni girone.
Questa idea permetteva agli spettatori di avere davanti agli occhi i burattini circondati dalla scena corrispondente con un effetto straordinario. […]
Giornalisticamente perfetto, racconta chi, che cosa, quando, dove, perché.
Mentre è sperduto, un flauto annuncia l’arrivo di un personaggio vestito di bianco e incoronato d’alloro: non è un uomo in carne ed ossa, ma un’ombra. E gli si presenta: è il poeta latino Virgilio, nato a Mantova al tempo di Giulio Cesare e vissuto poi sotto l’imperatore Augusto quando ancora si veneravano gli dei pagani
UN FILO ROSSO...
Comincia il racconto.
Dante sta uscendo da un bosco (dalla "selva") simbolo del peccato. Nessun dubbio che sia lui, tutti conoscono la sua immagine tramandata attraverso i secoli, quell’ampia veste rossa, il trecentesco lucco.
Le prime parole sono: "Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai..."
Dante pone il fatto nel 1300 quando aveva trentacinque anni (era nato nel 1265) cioè a metà di una vita calcolata di 70 anni (ma morì quando ne aveva appena 56, nel 1321).
1983 ©fotografia di Teresa Bianchi
2020 ©fotografia Maristella Campolunghi